Immerso in un momento di impegnata meditazione, ispirato da un articolo su Slate e uno su Hoppress ieri mi sono chiesto “Come fa a piacermi la birra?”
Mi ricordo bene quando da bravo bambino curioso cercavo di rubare un sorso dai bicchieri “dei grandi”, e avevo imparato che quando nel bicchiere c’era quella cosa giallognola e con la schiuma… dovevo evitarlo perchè non mi piaceva neanche un po’. Certo, le birre che trovavo nei bicchieri dei miei parenti vent’anni fa non mi piacerebbero neanche adesso, ma per altre ragioni… comunque oggi sono qui a scrivere un blog sulla birra.
Insomma, quegli articoli hanno ragione: dobbiamo abituarci ad un gusto e conoscerlo, per farcelo piacere. Avanti, dite un po’, descrivete con una parola il gusto della birra. Impossibile? Forse, ma facciamo finta di doverlo spiegare ad un alieno. La frutta è dolce, i formaggi sono salati, le spezie sono piccanti o pungenti, e la birra? Non barate, lo sapete. La birra è amara.
A volte sono il primo a dimenticarmelo, intento a convincere il “non bevo la birra perchè è amara” di turno ad assaggiare questa o quella bottiglia perchè è dolce, perchè è profumata, perchè sa di quello che non hai visto mai. La realtà è che comunque il luppolo è un ingrediente base della birra, quindi ci sarà sempre. Se però lo stile lo permette e la birra ha altro da offrire, l’amaro passerà in secondo piano. E voi fate bella figura perchè “questa è dolce“.
E poi ci sono le spezie, i malti tostati, il legno, i lieviti, l’inconfondibile “nonsenticomeèbuonaperchèl’hofattaio“… tutte cose importantissime che però possono confondere in chi inizia a cimentarsi con questi prodotti. All’inizio non sai riconoscerli ma ti piacciono, più avanti invece distingui l’amaro da luppolo da quello da malti tostati e la birra ti sembrerà sbilanciata, cominci con l’amare quella birra per “un certo non so chè” e poi ti ritrovi a non goderti certe pinte perchè “ci avrei visto meglio questo altro luppolo per il dry hopping“. Fortunatamente succede anche il contrario, eh… avevi quasi dimenticato quella golden ale perchè ti sembrava banale e poi la cerchi dopo aver capito il delicato equilibrio tra gli ingredienti del mash.
Se anche voi vi divertite ad assaggiare sempre birre nuove e andare in cerca delle etichette più prestigiose conoscete già la solfa. La sentite nominare o qualcuno ve la suggerisce, cercate una indicazione sullo stile, sapete che è “aromatizzata con questo e quellaltro e maturata a testaingiù in grotte di Pandora“. E allora via, cominciate un rituale che parte dall’apribottiglie e finisce con la lettura dei fondi di lievito, cercando di riconoscere, capire, fare i raggi x a quella birra che avete tanto atteso. E nella mischia cercate di isolare, uno alla volta, tutti gli elementi finendo per far passare tutto il resto in secondo piano.
Oppure avete scoperto un nuovo filone di birre tutte da provare. Oggi vano tanto di moda le India e American Pale Ales, birre sicuramente molto luppolate.. e nei giri di giostra a riconoscere il profumo dell’Amarillo piuttosto che del Nelson Sauvin passate sopra le vagonate di IBU che state ingurgitando. Dopo qualche decina, ehm, centinaio di assaggi vi ritrovate ad aver ritoccato i vostri parametri di quello che è buono e cosa no, di quelli che sono i limiti del troppo o del troppo poco. Ho indovinato? Lo sapevo.
Pensando a come io mi sono avvicinato ad un certo tipo di birre, qualche giorno fa ho avuto un flashback cinematografico da premio Oscar. Stavo bevendo una caramellosa Special Bitter nostrana quando mi è venuto in mente la prima volta in cui l’assaggiai. Avevo appena cominciato ad imparare il significato di stile, i nomi dei vari luppoli, bere le prime belghe (forse più di oggi vigeva l’equazione birra di qualità=Belgio) e avevo dato per scontato che “le birre artigianali sono molto amare“. Solo dopo avrei capito che se gli ingredienti si percepiscono di più è perchè i birrai non lesinano sulle materie prime, e comunque quello che chiamavo amaro era in realtà il gusto e l’aroma del luppolo ( che all’epoca consideravo ancora un tutt’uno con la “senzazione amara” ). Quella Bitter non faceva eccezione e il Kent Goldings si faceva sentire, ma fortunatamente il contesto e una piacevole ed istruttiva chiacchierata con lo stesso birraio che l’aveva creata mi aprirono gli occhi su quello che stavo bevendo, incuriosendomi ancora di più invece di confermare definitivamente “un saporaccio inevitabile”.
Nello stesso periodo altre mie ferree convinzioni ( fortunatamente smantellate ) erano che al pub la birra particolare era la weisse, che la maestria nel versare la birra si rivelasse nel fare un bicchiere senza schiuma, che le Bières Blanche sapessero “di sapone” e che se una birra aveva più di 6°, sicuramente valeva la pena di essere provata. Il percorso di scoperta della birra non si esaurisce certo dopo aver estirpato un paio di idee errate, ma imparando a riconoscere quello che si sta bevendo e soprattutto conoscere i propri gusti. Anche perchè diciamocelo, conoscere meglio un alimento dovrebbe servire proprio a poter scegliere con più sicurezza l’acquisto successivo, per godere di un gusto piacevole. Certo, di tanto in tanto emerge una lieve tendenza al Beer Ticking, ma sono dettagli
Insomma oggi noi birrofili ci esaltiamo per una pepata saison, per una morbida sweet stout o per una IPA agrumata… ma per arrivare qui ci siamo anche ciucciati notevoli quantità di un qualcosa che all’inizio non piaceva poi molto ( forse più da goliardici ragazzini che adesso, quando compriamo bottiglie da 10 euro sperando bene che ne valga la pena ). E si finisce col gradire quell’amaro, quell’acidità, quei sapori che forse non conoscevamo nemmeno prima di bere certe birre. Bisogna ammettero, l’homebrewing da un grande aiuto in tutto ciò…
Io spero tanto di non essere arrivato al capolinea, in quanto ad evoluzione del gusto, ma riconosco che le mie preferenze sono cambiate parecchio da un paio d’anni a questa parte (in fatto di birra! ). E i vostri ? Anche voi avete cambiato gusti nel tempo o sbevazzate sempre la stessa manciata di etichette ? Perchè? A voi